Non ho realmente capito quanto fosse serio il problema legato alla carenza di acqua fino a quando non ho dovuto scrivere, a seguito della richiesta di un docente universitario, una relazione sull’argomento. Ho così scoperto che in Italia ne usiamo ogni anno, per la sola igiene personale, una quantità equivalente al lago di Garda, che in passato l’Artico è stato utilizzato come discarica di rifiuti tossici che lo scioglimento dei ghiacci sta ora rimettendo in circolazione, che l’accesso all’acqua potabile permetterebbe di evitare –ogni anno- la morte di 3,4 milioni di persone per malattie idrosanitarie. Ho anche appurato che per poter garantire l’accesso universale all’acqua occorre l’importante cifra di 10 miliardi di dollari. Sembrano tantissimi, eppure equivalgono a soli 5 giorni di spesa militare mondiale o, volendo fare un esempio più vicino alla nostra esperienza quotidiana, a metà della spesa annuale per l’acqua minerale registrata nel Regno Unito.
Ho altresì imparato che l’acqua dovrebbe essere un bene primario, ma interessi particolaristici hanno fatto slittare fino al 2010 la sua introduzione tra i diritti umani universali; nel frattempo l’oro blu ha continuato a creare –e crea tuttora- tensioni sociali e vere e proprie crisi internazionali in gran parte dei paesi a ridotta disponibilità: Turchia, siria, Iraq, Egitto, Etiopia, Sudan, Israele, Palestina, Giordania, Thailandia, India, Botwana e Namibia solo per citarne alcuni.
Se pensate ad un problema strettamente legato ai pesi più poveri vi suggerisco di fare una piccola ricerca riferendovi agli stati americani di California, Arizona e Utah: avrete non poche sorprese; ma spesso non occorre guardare così lontano: i razionamenti estivi cui è soggetto il sud Italia dovrebbero essere una prova sufficiente della centralità della questione.
Non ultimo, l’approvvigionamento d’acqua viene quasi sempre demandato alle donne, divenendo un compito gravoso non solo in termini di fatica fisica ma anche di tempo, rendendo impossibile la prosecuzione degli studi anche qual’ora si registri la presenza di strutture educative. Insomma: è un problema di carattere universale perché strettamente legato alla sopravvivenza, ma è anche e soprattutto una problema femminile se visto nei suoi risvolti più strettamente sociali.
Per tutti questi motivi appoggio con piacere l’iniziativa di Aveda, suggerendovi con trasporto l’acquisto della candela Light the Way: dall’aroma ispirato alle spezie del Madagascar, un tripudio di vaniglia, cannella e ylang-ylang, e dal packaging costituito con materie prime riciclate, il suo ricavato contribuirà alla salvaguardia dell’acqua venendo interamente devoluto al Global Greengrants Fund.
Un ultimo accenno alla confezione, molto graziosa, che presenta i disegni realizzati dagli studenti dell’Association School nell’Ampasimanjeva, un piccolo paese del Madagascar che ha ricevuto due finanziamenti del Global Greengrants Fund per progetti idrici: le immagini, è noto, sono significative a prescindere dalla lingua parlata, e proprio grazie al segno grafico i giovani studenti hanno oltrepassato i confini linguistici e culturali, testimoniando il grande miglioramento portato nelle loro vite dalla costruzione di una risorsa per l’accesso sicuro all’acqua.
La candela sarà in vendita, in edizione limitata, durante tutto il mese di maggio ed avrà un costo di 15 euro. Potrebbe essere anche uno splendido pensiero per la festa della mamma, non credete?
