Talking about – Haulmaniache: ragazzine senza cervello?

E’ fine febbraio quando Grazia.fr decide di pubblicare un articolo dedicato alla tendenza dei video-haul, cogliendo di sorpresa il mondo delle beauty blogger francesi. Intendiamoci, non ci sarebbe nulla di male nel portare sulle pagine di una rivista quello che è diventato un vero e proprio fenomeno di costume, ma ciò che qui attira l’attenzione è il taglio del pezzo, indeciso tra uno stile da inquisizione spagnola ed uno da saggio sociologico.

Trovando l’argomento di un certo interesse ho tradotto il testo nella nostra lingua (trovate qui l’originale) ed ora vi pongo alcuni annosi quesiti: siete d’accordo con le tesi della giornalista o pensate stia esagerando? Qual è la vostra opinione in merito alla tendenza dei video-haul?


Qui sotto leggerete alcuni paragrafi contenenti un cospicuo numero di ripetizioni, delle quali non posso attribuirmi la paternità: ho inizialmente cercato di eliminarle per poi optare per una maggiore fedeltà all’originale. Certo, fa un po’ ridere pensare che l’autrice è la stessa persona che ha accusato una ragazzina di pronunciare troppe volte la stessa parola. Il bue che da del cornuto all’asino?

 

 

L’haul, ovvero l’arte di mostrare i propri acquisti davanti ad un milione di amiche

Da Ronald McDonald a DivaJoly DivaJoly, ChanelBlueSatin, DulceCandy87, Fleurdeforce, JuicyStar07… dietro a questi pseudonomi grondanti gloss si nascondono delle professioniste dell’hauling. Dall’inglese “haul”, che significa “bottino”, l’hauling consiste nel mostrare su internet i propri acquisti. Riassumendo: faccio shopping, torno a casa, mi siedo davanti alla webcam, mi filmo mentre commento uno ad uno tutti i prodotti.


Non tutte possono diventare una haulmaniaca:

1) La haulmanica è un’adolescente. “Non penso che pubblicherò questo tipo di video su youtube a 35 anni”, afferma una delle haulmaniche più celebri, Blair Fowler (alias JuicyStar07). Possiamo immaginare che le trententenni e le quarantenni si accorgeranno un giorno del fenomeno, ma per il momento questo non tocca che una popolazione giovane, per delle ragioni che si possono facilmente individuare: la haulmaniaca deve essere credibile ed ingenua allo stesso tempo; credibile perché la web-spettatrice possa identificarsi, ed ingenua perché, in definitiva, non fa né più né meno che della pubblicità gratuita per delle marche. Ora, una donna di 35 anni sinceramente ingenua non sarebbe credibile…

2) La haulmanica compra unicamente vestiti o makeup. Non delle cose da mangiare, non delle cose tecnologiche, non delle cose culturali. Non la vediamo mai in un video mentre vanta, per esempio, i meriti della sua marca preferita di corn flakes. Non filma che articoli di moda e bellezza. Insegna con precisione marziale come applicare il fondotinta ed alterna generalmente i suoi video haul a dei tutorial trucco-parrucco.

3) La haulmanica è piuttosto carina. Sostiene i valori dell’apparenza perché ne ha testato gli effetti (“mi hanno detto che questo vestito mi sta bene”, “ho ricevuto un sacco di commenti carini sui miei capelli”, etc.).

4) La haulmaniaca è affetta da logorrea. Deve poter parlare quasi senza respirare per almeno 13 minuti. Non è un dettaglio bensì un codice fondamentale dell’hauling. Il fatto che parli senza arrestarsi è una prova:

a) della sua sincerità (non ha il tempo di riflettere su quello che sta dicendo, quindi ci si immagina che dica quello che pensa veramente).
b) del suo entusiasmo (e sappiamo, purtroppo, fino a che punto l’entusiasmo sia contagioso in materia di shopping. Quanti euro avremmo potuto risparmiare se le amiche non avessero vantato i loro acquisti!).
c) della sua spontaneità (il video deve essere filmato a caldo, immediatamente dopo lo shopping. D’altronde le haulmaniache lasciano spesso i cartellini attaccati ai vestiti che presentano.
d) della loro amatorialità. Una professionista farebbe più pause, non si ripeterebbe (qui, per esempio, la parola “carino” è utilizzata 6 volte in 40 secondi), non farebbe degli errori (la lingua delle haulmaniche si annoda, loro si riprendono ridendo, capita persino che si infilino il pennello nell’occhio…). Altra garanzia di amatorialità: i video sono montati molto poco (o molto male).

La sincerità, l’entusiasmo, la spontaneità e l’amatorialità: quattro aspetti che spiegano almeno in parte il successo delle haulmaniche. L’hauling si colloca, infatti, in opposizione alla pubblicità tradizionale.
Le lamentele più diffuse verso la pubblicità tradizionale sono l’esatto opposto delle qualità attribuite all’hauling. Si critica la pubblicità:

a) per la sua ipocrisia (contro la sincerità delle haulmaniche).
b) perché mette in scena un falso entusiasmo (i vettori del discorso pubblicitario sono degli attori: fingono entusiasmo ma non lo provano).
c) perché è il risultato di una strategia (brainstorming, redazione, validazione, casting, riprese… Contro la spontaneità delle haulmaniache).
d) perché la redditività è il suo solo obiettivo (il professionismo dei pubblicitari contro l’amatorialità delle haulmaniche).

La haulmaniaca: uno stereotipo della moderna consumatrice.

Tutto il successo degli haul riposa dunque sull’idea (perfettamente falsa) che l’haulmaniaca sia una consumatrice media. Ciò significa che tra le marche d’abbigliamento e le consumatrici il legame sarebbe ormai diretto: è possibile superare l’intermediario pubblicitario. Fatto salvo che la haulmaniaca sembra giocare lo stesso ruolo di un’agenzia pubblicitaria poiché elogia i prodotti davanti ad un vasto pubblico. Henry Mason, capo della ricerca e partner direttivo di TrendWatching.com, afferma a tal proposito che queste ragazze “possono essere più efficaci di qualsiasi dipartimento di marketing”.

Esistono tuttavia video haul nei quali i prodotti sono sconsigliati alle web-spettatrici (“non comprarlo”). Se ne potrebbe troppo rapidamente dedurre che il ruolo dell’haulmaniaca sia, piuttosto, quello di una critica benevola. Se su Internet  si trovano praticamente ovunque critici cinematografici e letterari improvvisati (cf. le réseau social Sens Critique, per esempio) –  i libri ed i film sono anche prodotti di consumo – perché, allora, non criticare anche i vestiti? Il look quotidiano coabita già con quello delle passerelle sulle pagine delle riviste ed i giornalisti che analizzano le tendenze dell’haute-couture hanno da lungo tempo integrato il prêt-à-porter nella loro riflessione. La critica letteraria o cinematografica ci sembra più legittima perché i libri/film lasciano trapelare cultura. Ma può essere che i vestiti prêt-à-porter stiano oltrepassando la sfera puramente commerciale per entrare nella sfera del sub culturale, e dalla subcultura alla cultura  si sa che il passo è breve (nel XVII° secolo, per esempio, il romanzo era un prodotto di subcultura paragonato alla poesia o al testo teatrale).

La funzione “critica” attribuita alle haulmaniache è tuttavia impropria, perché ciò che viene messo in primo piano in un video haul è lo stato emotivo del soggetto (l’eccitazione, la delusione, etc.) più che i suoi ragionamenti. Le haulmaniache non fanno mai ricorso all’analisi, non mettono in prospettiva la storia di una marca o di una tendenza, non possiedono dei riferimenti. L’hauling è un’attività che stagna a livello personale, puramente soggettivo, ed è questo che ne determina il successo.

Se la haulmaniaca non è né una consumatrice media né una pubblicitaria benevola né una critica, qual è allora il suo ruolo sociale? (Perché un ruolo sociale deve averlo, altrimenti non attirerebbe un milione di visitatori a video).

Ebbene, è molto probabile che la haulmaniaca dia un volto al consumismo della nostra società.
Come ha fatto ai suoi tempi la casalinga under 50, la haulmaniaca è diventata uno stereotipo della consumatrice. Ma a differenza della casalinga presa in giro da Duane Hanson nel 1970, la haulmaniaca è uno stereotipo che ci è psicologicamente vicino: entra nella nostra sfera intima attraverso la tecnologia. Questa prossimità (posso seguire gli acquisti dell’haulmaniaca in tempo reale, la vedo nella sua intimità perché si registra nella sua camera, etc.) impedisce, in parte, la presa di distanza abitualmente necessaria per comprendere che si tratta di una caricatura.

Evidentemente questa caricatura della consumatrice ci tocca da vicino perché tutte noi siamo delle consumatrici. E’ facile identificarsi con una caricatura: spinge al limite i nostri stessi difetti (quanto isteriche possano essere queste adolescenti, la realtà è che lo facciamo tutte: è sufficiente incrociare un’amica uscendo da un negozio perché ci venga voglia di aprire il nostro sacchetto).

Le haulmaniache amano definirsi come delle “guru di bellezza” ma, di fatto, le web-spettatrici ricercano non tanto  i loro consigli quanto il piacere di vedere mimati i nostri stessi comportamenti di consumatrici. La gioia post-shopping, la frenesia dello spacchettamento, il suscitare l’ammirazione/la gelosia delle compagne, etc. Conosciamo queste emozioni e dunque le riconosciamo quando le haulmaniache le manifestano.

Naturalmente lo shopping non provoca solo delle sensazioni positive: l’euforia dissimula spesso un sentimento di colpevolezza ed è questo aspetto che, inconsciamente, ci colpisce nel discorso delle haulmaniache. Passano il loro tempo a giustificarsi: “Non spendo i soldi dei miei genitori, ma quello che guadagno facendo piccoli lavori”, “l’ho preso in saldo, è un affare”, “non ho speso molto questa volta”, “era molto tempo che non compravo vestiti”, etc.

Come dice la psicologa April Lane Benson, l’acquisto compulsivo ha la stessa natura dei disturbi alimentari, benché sia meno stigmatizzato socialmente. April Lane Benson ha individuato sei quesiti per identificare i compratori compulsivi, e sono molto numerosi quelli che potranno rispondere positivamente ad almeno tre di essi: 1) Lo shopping rappresenta un modo per rimediare ad un dolore? 2) Vi sentite depresse? 3) Siete incapaci di fermarvi? 4) Vi sentite in colpa o vi vergognate del vostro comportamento? 5) Spendete spesso più di quanto vorreste e possedete degli oggetti che non utilizzate? 6) Sentite il bisogno di nascondere le prove del vostro eccesso di shopping?

L’acquisto compulsivo è un sintomo plasmato attraverso una storia – quella della società del consumismo – e il ruolo della donna in questa storia è predominante. I comportamenti nevrotici delle haulmaniache riflettono dunque, amplificandolo, il nostro stesso rapporto con il consumismo.

*autrice di To Buy or Not to Buy: Why We Overshop and How to Stop


La casalinga cool

Sarebbe semplicistico concludere che il successo dell’hauling sia legato all’atto consumistico in quanto tale. Infatti i video haul non mostrano l’acquisto. Ciò che questi video mostrano sono delle ragazze che fanno vedere i loro acquisti.

Più che l’acquisto compulsivo, il problema è l’esibizionismo commerciale. Perché questo esibizionismo commerciale attira più di un milione di voyeurs? E’ questo che ci interessa.

L’ultima domanda di April Lane Benson può chiarire questo punto: “Sentite il bisogno di nascondere le prove del vostro shopping eccessivo?” La haulmaniaca potrebbe tranquillamente rispondere “No”, perché i suoi acquisti, lei, li sfoggia sul web.

E, di fatto, sente il bisogno inverso: sente il bisogno di mostrare.

Non mostra i suoi vestiti perché prende la responsabilità delle sue spese o perché si sente a suo agio nel ruolo di consumatrice: mostra i suoi vestiti perché è cool mostrarli.

E se vi state chiedendo cosa ci sia di “figo” nel mostrare dei vestiti è perché avete passato l’età in cui si desidera essere cool. Infatti la risposta è semplice: il grado di figaggine si misura nel numero di persone che vorrebbero essere al nostro posto. Spacchettare i propri acquisti è un modo per suscitare l’invidia delle amiche/spettatrici.

Si ritorna quindi al ruolo della pubblicità nella società del consumo: dagli anni ’60 lo scopo dei pubblicitari è stato quello di valorizzare il prodotto valorizzando il compratore (“io mangio i cereali di Kellogs”=”io sono una tigre”; “io bevo coca cola light” = “io sono sexy”, etc.). La pubblicità ha già creato lo stereotipo del consumatore figo, vale a dire che ha voglia d’essere. Ma la haulmaniaca non è una nemica tigre di Kellogs o una nemica bionda sexy in uno spot: è il prodotto di una generazione che ha integrato i codici della pubblicità in modo tanto radicale da diventarne un vettore suo malgrado.

In questo senso le haulmaniache non veicolano più solamente il discorso delle marche: sono diventate delle marche esse stesse. E si vendono come tali. Blair Fowler coglie l’occasione, in quasi tutte le sue apparizioni, per incitare gli internauti ad abbonarsi al suo vlog (contrazione di Video + Blog). Le annotazioni “ iscriviti al mio vlog channel” e “seguimi su twitter” sono collocate sotto ai suoi video. Perché più le haulmaniache hanno iscritti, più hanno clic e più valgono. La celebrità non è più il risultato di un valore concreto (sono celebre perché valgo qualcosa in tal sport o in tal’altro) ma la garanzia di un valore astratto (sono celebre, quindi valgo qualcosa anche se non so bene cosa).

Si attinge all’apogeo del marketing. Una grande marca non si esibisce più attraverso grandi campagne d’affissioni per vendere i suoi prodotti a dei consumatori anonimi, vale a dire a degli individui che vogliono utilizzarli/approfittarne silenziosamente: ora vende i suoi prodotti a degli individui che vogliono esibirli e mostrare a loro volta i valori della marca (la bellezza, la femminilità, l’eleganza, per esempio). Una marca vende ormai i suoi prodotti a degli individui che sono diventati loro stessi delle piccole marche… All’improvviso,  le grandi marche non hanno più solamente un ruolo d’attori economici: loro diffondono i nuovi valori che strutturano la società, definendo il sé ideale (=figo) di ciascun individuo.

L’haulmaniaca è la casalinga moderna. Una casalinga con meno di 25 anni. Si distingue dallo stereotipo che l’ha preceduta (la casalinga sotto i 50 anni), perché è dotata di parola (e ciò ci dona l’illusione che sia anche dotata di libero arbitrio), di un minimo di senso critico (può dire “mi piace” o “non mi piace questo prodotto”), d’autoironia (quando si mette un pennello nell’occhio non taglia la sua gaffe in fase di montaggio, lei ne ride davanti ai suoi spettatori). A differenza del suo stereotipo più grande ha, dunque, una personalità. E, come abbiamo detto, questa personalità è (dovrebbe essere) cool.

Se la figaggine è diventata un obbiettivo esistenziale per i figli della pubblicità quali noi stessi siamo, è anche perché ce l’hanno ventura come una promessa di riuscita sociale. Le star del rock sono fighe e sono adulate per questa ragione tanto quando per le loro qualità musicali. Non  è privo di significato che il fenomeno degli haul si sia sviluppato quasi esclusivamente negli Stati Uniti (e ancora molto poco in Francia) perché il mito del successo e molto radicato nella storia nord americana. Le haulmaniache non sfuggono all’imperativo dell’american dream: sono prima diventate le star del liceo, poi delle star su youtube e la success story non si ferma qui. Blair Fowler, 17 anni, ha lasciato i suoi parenti per trasferirsi a Los Angeles dove dispone ormai di un addetto stampa. E’ stata invitata la settimana scorsa alle sfilate della fashion week di New York.

In questo senso, Blair Fowler è diventata un’eroina da fiction: è l’avatar reale di una Serena Van Der Woodsen (personaggio della serie Gossip Girl).

“Inviate i film, i prodotti seguiranno”, diceva Roosevelt. La strategia dell’esportazione americana è la stesse della sua strategia di vendita sul territorio nazionale e funziona molto bene: i consumatori comprano quello che è suscettibile di trasformarli da in real life a personaggi da fiction. Infatti, si sarebbe potuto predire il successo delle haulmaniache vedendo Audrey Hepburn domandare “How do I look ?” .

 

Money, money, money… it’s a rich man’s world

Le marche sono sopraffatte dal fenomeno. Cercano di saltare sul treno in corsa integrando le haulmaniache nelle loro campagne pubblicitarie. La marca Forever21 ha persino organizzato un concorso di haul. E ovviamente le haulmaniache hanno ricevuto dei prodotti gratuitamente… Gli accordi tra marca e blogger non sono un fenomeno nuovo, la Federal Trade Commission ha già deliberato sulla questione; ha imposto ai blogger di distinguere tra i prodotti comprati e i prodotti offerti. Blair Fowler indica a volte sotto i suoi video: “Tutti i prodotti menzionati sono stati comprati da me. Nessuna azienda menzionata mi paga per questo video”.

Le haulmaniache ne sono coscienti, segnerebbero la loro fine accettando di lavorare per degli inserzionisti. In questo modo non avrebbero infatti più alcuna legittimazione agli occhi delle loro fans. Portano quindi dei soldi alle aziende –questo apporto è difficilmente quantificabile, perché come individuare la parte dovuta al ritorno pubblicitario e al ritorno degli haul?- ma non sono remunerate a loro volta.

In ogni caso, certe haulmaniache riescono a vivere della loro attività. Infatti, il fenomeno non è vantaggioso unicamente per le firme di abbigliamento: anche Youtube ne trae dei benefici. L’attività delle haulmaniache porta al sito un numero importante di visite più un aumento della durata delle stesse (la maggior parte dei video haul supera i 10 minuti). E’ stato dunque proposto ai vlogger con il maggior numero di iscritti di partecipare ad un programma di divisione degli introiti. “Abbiamo centinaia di partners che fanno più di mille dollari al mese e molti che guadagnano cifre a sei zeri” ammette Shishir Mehrotra, director of product management presso Youtube, durante la trasmissione Good Morning America.

Ovviamente, in origine, nessuna di queste ragazze si è lanciata negli haul per guadagnare soldi. Da una parte perché sono state loro ad inventare il fenomeno e sono esse stesse le prime a sorprendersi del proprio successo, dall’altra perché la celebrità è sufficiente come motivazione per continuare. Ma sotto la copertura della gratuità c’è un nuovo ingranaggio del capitalismo mondiale che, con la loro piccola scalata, le haulmaniache hanno messo in marcia: hanno eretto il consumismo al rango di attività in proprio quando, fin’ora, si aveva ancora (un po’) l’idea di consumare per necessità. O per desiderio. O almeno per capriccio. Loro consumano per mostrare che consumano. Fanno della meta-consumazione.

Se non hanno più bisogno di un altro motivo per acquistare un articolo che non quello di poter mostrare che l’hanno comprato, è perché in definitiva queste ragazze sono le rappresentanti di una generazione allevata nell’era del sovra consumismo. Ma al posto d’essere indignate, come le loro sorelle maggiori, loro lo legittimano: fanno del sovra consumismo la nuova norma del consumismo.

Non c’è che da attendere di vedere di cosa saranno capaci le loro sorelline e penso non resteremo delusi.

Vi ricordate le domande iniziali? Allora a voi la parola: cosa ne pensate?


Marica

Appassionata di cosmesi e di tutto ciò che è bello. Dal 2015 vivo a cavallo tra Italia e Inghilterra e ho un'inarrestabile passione per borse e rossetti. Il super-potere che vorrei? Quello dei capelli sempre in piega! Su Instagram mi trovi come @beautycaseblog.

6 Comments
  1. Grazie per aver tradotto l’articolo, l’ho trovato molto interessante!
    Stiamo vivendo un’epoca di enorme cambiamento culturale e sociale, lo stesso fenomeno del “popolo di Youtube” ne è un esempio, ma mi chiedo più che altro quanto tempo potrà andare avanti: le aziende che producono si evolvono ed evolvono anche il loro metodo di comunicazione, questa volta hanno colto in pieno il fenomeno del web, d’altronde il loro scopo finale è la vendita del prodotto.
    Penso che la cosa più importante di tutte sia essere un consumatore consapevole e informato, è inutile arrabbiarsi e sparare a zero contro chi fa i video haul, la vera svolta secondo me sta nel contribuire a sviluppare una coscienza del consumo consapevole, se vi vogliono evitare meccanismi di “meta-consumismo”! (spero di essermi spiegata :) )
    Robi

  2. Ciao cara
    credo che in fondo tutte noi alla fine siamo diventati veicoli di pubblicità che siano acquistati da noi i prodotti che siano mandati della aziende, tutte siamo cadute nello stesso gioco, quello di mostrare i nostri acquisti. Credo che la critica che muova questa giornalista sia seria e che ci dia la possibilità di fermarci a rilfettere, voglia veramente continuare in questo modo? Vogliamo veramente continuare ad alimentare il mondo del consumismo che ogni giorno ci stritola nei suoi ingranaggi? O vogliamo pensare che avere continuamente cose materiali sia un modo per non accettare la nostra finitezza e fragilità e non affronare la realtà che abbiamo perso di vista gli altri e noi stessi. Onestamente ho fatto anch’io qualche haul sul mio blog e in qualche modo ho consigliato di acquistare quel prodotto rispetto a quell’altro, ma nella consapevolezza che stavo fancendo una pubblicità a quella marca senza che nessuno me l’avesse richiesta. Più che pubblicità personalmente credo di dare un consiglio come lo darei a una buona amica, senza ovviamente spingerla all’acquisto perchè personalmente non mi faccio influenzare e cerco di non fare altrettanto con gli altri.
    Non faccio video perchè non mi piace preferisco scrivere cercando di raccontare un emozione nel cercare trovare e provare quell’abito che mi piaceva o quel prodotto di make up che ho gradito particolarmente.
    Spero e mi auguro che colore che leggo mio blog non vadano di corsa ad acquistare come delle shoppper conpulsive ma lo facciano con criterio.
    Posso citare il tuo post nel mio blog perchè sto scrivendo una una cosa che riguarda lo shopping che mi tocca personalmente ma si potrebbe allargare maggiormente al tuo articolo.
    Grazie baci buona giornata Alex

    1. La critica mossa dalla giornalista è certamente seria, ma portata avanti con un’aggressività che lascia sorpresi ed anche un po’ perplessi: perché accanirsi così tanto? A mio parere la forza delle sue argomentazioni viene fortemente sminuita proprio dallo stile utilizzato.
      Anche la figura dell’haulmaniaca mi sembra tratteggiata con un po’ di superficialità: secondo l’articolo le haulmaniache sono adolescenti, ma basta girare un po’ su youtube per capire che il fenomeno è già arrivato alle donne adulte.
      E ancora: siamo sicure che le ragazze che fanno questo genere di video siano vittime del consumismo e non lo stiano, piuttosto, utilizzando per raggiungere scopi propri?

      Cita tranquillamente il post, mi fa piacere contribuire al dibattito :)) Ti chiedo solamente un link a questa pagina, così da rimandare anche al testo esteso :)

Leave a Reply

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.